28 Aprile 2021

Processi lunghi: come ottenere il risarcimento

Ai sensi della Legge Pinto, coloro che hanno affrontato un processo di durata irragionevole possono chiedere un’equa riparazione per i danni, patrimoniali e non, subiti. Vediamo insieme quali sono i presupposti e come ottenere l’equo indennizzo.

Cos'è la Legge Pinto.

La Legge Pinto ( legge n. 89 del 24.3.2001) è un provvedimento che riconosce a coloro che hanno dovuto affrontare un processo di durata irragionevole una “equa riparazione”, ossia un indennizzo per i danni patrimoniali e non, causati dal ritardo con cui si è concluso il processo.

A quali procedimenti si applica.

La Legge Pinto si applica a tutte le controversie civili, penali, amministrative, fallimentari e tributarie. Sono invece esclusi i procedimenti che non si svolgono davanti agli organi pubblici di giustizia come gli arbitrati, anche quando ad essi segue immediatamente un processo civile. 

La ragionevole durata del processo.

Ai sensi dell’art. 2 comma 2 bis della Legge Pinto, il termine della ragionevole durata del processo (c.d. giudizio presupposto) si considera rispettato se non supera:

  • 3 anni per il giudizio di primo grado;
  • 2 anni per il giudizio di secondo grado (davanti alla Corte d’Appello);
  • 1 anno per il giudizio di legittimità (davanti alla Corte di Cassazione); 
  • 3 anni per i procedimenti di esecuzione.

Se il procedimento si articola in tutti e tre i gradi di giudizio, la sua durata è ragionevole se si conclude in 6 anni, anche se la durata dei singoli gradi che lo compongono è stata superata.

I presupposti per l'equa riparazione.

Le parti coinvolte in un giudizio, indipendentemente dall’esito vittorioso o meno, siano esse persone fisiche o giuridiche, possono chiedere l’equa riparazione se sussistono i seguenti requisiti:

  1. Irragionevole durata del processo: tale requisito ricorre quando il giudizio presupposto si è concluso oltre il termine indicato dalle legge (vedi sopra).
  2. Attuazione delle strategie processuali: la parte deve aver posto in essere determinati comportamenti denominati “strategie processuali” o “rimedi preventivi” finalizzati ad evitare l’irragionevole durata del processo, come ad esempio la richiesta di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.c. Tale presupposto non si applica ai processi la cui durata al 31 ottobre 2016, eccedeva già i termini ragionevoli sopra indicati e in quelli assunti in decisione alla stessa data.
  3. Esistenza di un danno patrimoniale e non patrimoniale: per ottenere l’equa riparazione del danno patrimoniale, occorrerà dimostrare che la perdita economica subita (c.d. danno emergente) o il mancato guadagno (c.d. lucro cessante) siano la conseguenza immediata e diretta della durata eccessiva del procedimento. Inoltre, il ricorrente potrà ottenere anche  un indennizzo per il danno non patrimoniale rappresentato dall’ansia, stress, patema d’animo causati dall’eccessiva durata del  giudizio.
  4. Nesso causale tra l’irragionevole durata del processo e il danno.

L'importo del danno risarcibile a titolo di equa riparazione.

Di regola, il Giudice liquida una somma di denaro non inferiore ad Euro 400,00 e non superiore ad Euro 800,00 per ciascun anno o frazione di anno superiore a 6 mesi, che eccede il termine di ragionevole durata del processo. Inoltre, il Giudice può riconoscere una somma ulteriore forfetaria (c.d. bonus) quando la parte interessata prova che il danno subito, a causa di circostanze specifiche, è stato maggiore. 

Poiché l’equa riparazione ha natura indennitaria, sono dovuti anche gli interessi legali che decorrono, se richiesti, dalla data della domanda.

Infine si rappresenta che le somme liquidate a favore del ricorrente, ristorando un danno subito, non determinano un incremento di ricchezza e dunque non sono soggette ad alcuna imposta.

Entro quanto tempo presentare la domanda di equa riparazione.

Ai sensi dell’art. 4 della Legge Pinto, la domanda deve essere presentata a pena di decadenza entro 6 mesi dalla conclusione in via definitiva del giudizio presupposto. 

Tuttavia, sul punto è intervenuta di recente la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 88/2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 4 nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta, una volta maturato il danno, in pendenza del giudizio presupposto. Pertanto, la domanda per l’equo indennizzo, può essere proposta anche se il giudizio presupposto non si è concluso.

Come si presenta la domanda di equa riparazione.

La domanda va proposta con ricorso sottoscritto dal difensore munito di procura, al Presidente della Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il Giudice ove si è svolto il giudizio presupposto. Unitamente al ricorso occorrerà allegare in copia autentica tutti gli atti relativi al procedimento di cui si assume violata la ragionevole durata (es. atto introduttivo, comparsa e memorie, verbali di causa, ecc.).

Come si svolge il giudizio di equa riparazione.

Il Presidente della Corte d’Appello, ricevuto il ricorso, provvede entro 30 giorni con decreto esecutivo motivato.

Se il ricorso è accolto, il Giudice ingiunge il Ministero della Giustizia di pagare al ricorrente un indennizzo, determinato secondo i parametri sopra indicati, oltre alle spese legali sostenute dal ricorrente stesso. Il decreto viene notificato, a cura del difensore, all’Avvocatura dello Stato. Qualora nei successivi 4 mesi, il Ministero non si oppone ovvero non provvede volontariamente al pagamento delle somme complessivamente dovute al privato, quest’ultimo potrà incaricare il proprio legale di agire esecutivamente per il recupero forzoso del proprio credito. 

Se invece il ricorso è respinto, il ricorrente non potrà più proporlo, anche se è possibile impugnare il provvedimento di rigetto entro 30 giorni dalla sua notificazione.

Quali sono i costi per il ricorso "Pinto".

Il ricorrente, oltre al compenso dell’avvocato, dovrà sostenere i costi relativi ai diritti di cancelleria per le copie autentiche degli atti del giudizio presupposto.

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