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Cos'è la cartella esattoriale.
La cartella esattoriale, conosciuta anche come cartella di pagamento è l’atto che l’Agente della Riscossione emette subito dopo la formazione del ruolo.
Cosa significa tale affermazione? Vediamolo insieme.
Con l’espressione “ruolo”, si fa riferimento all’elenco redatto dall’ente creditore (ad esempio Pubbliche Amministrazioni, Enti locali, ecc. ) ove sono riportati i nomi dei debitori, ovvero le generalità dei contribuenti nei cui confronti è stata rilevata una violazione e le somme da essi dovute. Dopo aver formato tale elenco, il creditore lo trasmesso all’ente della riscossione (ad esempio l’Agenzia delle Entrate-Riscossione) per i relativi adempimenti: questi, in qualità di concessionario, ha l’onere di far conoscere al contribuente la volontà dell’ente creditore di pretendere una determinata somma di denaro per la violazione commessa. Volontà questa, che viene “cristallizzata” nella cosiddetta cartella esattoriale. Ai sensi dell’art. 25 del Decreto Presidenziale n. 602/1973 infatti, il concessionario ha l’onere di notificare al contribuente la cartella di pagamento ed eventualmente, iniziare le azioni esecutive (ad esempio il fermo amministrativo, il pignoramento dello stipendio, l’iscrizione dell’ipoteca sulla casa, ecc.) nei suoi confronti, per recuperare l’importo dovuto.
La cartella esattoriale o di pagamento è quindi un’ intimazione di pagamento che riceve chi non ha pagato allo Stato, alle Pubbliche Amministrazioni o agli Enti locali le somme ad essi dovute, maggiorate di sanzioni, interessi e spese di notifica.
Tuttavia tali atti impositivi, se ritenuti ingiusti o illegittimi, in presenza di determinati presupposti, possono essere contestati dal cittadino al fine di ottenerne l’annullamento e dunque non pagare le somme in essi indicate. Vediamo quindi come impugnare una cartella esattoriale.
Quando è possibile impugnare una cartella esattoriale.
Esistono diversi motivi per impugnare una cartella di pagamento. Si pensi ad esempio alla carenza di motivazione della cartella per non aver indicato il tasso e il metodo di calcolo degli interessi, oppure ancora ad una richiesta di imposte già versate, oppure ad un’ ipotesi di doppia imposizione, ad un vizio di notifica, ecc. Ma il motivo più frequente per impugnare una cartella di pagamento, è sicuramente la prescrizione della cartella esattoriale.
Sorge quindi spontanea la domanda: “quando la cartella esattoriale è prescritta?“
Utilizzando un linguaggio molto semplicistico, possiamo dire che la cartella esattoriale è prescritta quando le somme di pagamento in essa indicate sono “scadute”.
Sul punto va detto che i termini di prescrizione variano a seconda del tipo di tributo o sanzione, per cui è stata notificata la cartella stessa. In buona sostanza, per conoscere quando scade una cartella di pagamento, bisogna verificare la natura del debito in essa riportato.
Di seguito indichiamo alcuni esempi:
- multe al Codice della Strada e sanzioni amministrative in generale: il termine di prescrizione è di cinque anni dalla data dell’infrazione;
- bollo auto: il termine di prescrizione è di tre anni. Esso parte dall’inizio dell’anno successivo a quello di riferimento del tributo dovuto (sul punto leggi, Bollo auto non pagato:conseguenze e prescrizione).
- imposte erariali (Irpef, Iva, Irap): per queste, la risposta è un po’ più complicata, perché non vi è una norma di legge che disciplina la prescrizione delle imposte erariali. Pertanto la risposta va trovata nell’interpretazione giurisprudenziale. Secondo un primo indirizzo, l’assenza di una norma che stabilisca i termini di prescrizione dei tributi erariali, renderebbe applicabile il termine ordinario decennale. La regola generale prevista dal codice civile, è infatti la seguente: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni“. Tuttavia si è sviluppato un indirizzo giurisprudenziale opposto, secondo cui deve ritenersi applicabile anche ai tributi erariali (Irpef, Iva, Irap), così come a quelli locali (Imu, Ici, Tari ecc.), il termine di prescrizione quinquennale, in ragione del fatto che si tratta di somme che devono essere pagate annualmente. Difatti, il codice civile prevede, in via eccezionale, il termine di prescrizione breve di cinque anni per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi. Sul punto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 23397/2016, ha infatti definitivamente stabilito che le pretese della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, I.N.P.S., I.N.A.I.L., Comuni, Regioni, ecc.) si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, eccetto i casi in cui la sussistenza del credito sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo. In tal caso la prescrizione è decennale.
Possiamo quindi dire che, se il contribuente (sia esso una persona fisica o una società) riceve una cartella esattoriale oltre i termini sopra indicati, questa potrà dirsi prescritta. Pertanto, il cittadino non sarà tenuto al pagamento dell’importo richiesto, previo provvedimento di annullamento della cartella stessa.
Come impugnare la cartella di pagamento.
Se si ritiene che la cartella esattoriale sia illegittima e l’importo chiesto in pagamento non dovuto, è possibile contestarla tramite:
- Istanza di annullamento in autotutela.
- Ricorso giudiziario.
Vediamo insieme questi due strumenti previsti dal nostro ordinamento, a tutela del contribuente debitore.
Cartella esattoriale: annullamento in autotutela.
L’autotutela è il potere dell’Amministrazione di correggere o annullare (totalmente o parzialmente) i propri atti, laddove questi risultino illegittimi o infondati.
Tale potere spetta allo stesso Ente che ha emanato l’atto, d’ufficio o su richiesta del contribuente. Quest’ultimo quindi, di sua iniziativa, può presentare l’istanza in autotutela, anche senza assistenza di un avvocato.
Tale istanza deve essere redatta in carta semplice specificando, oltre alle generalità del contribuente e dell’Ufficio destinatario, anche gli estremi identificativi dell’atto di cui viene chiesto l’annullamento nonché i motivi per cui lo si ritiene illegittimo e quindi annullabile, in tutto o in parte. Tali motivi devono essere adeguatamente documentati.
Una volta presentata, l’istanza verrà esaminata dall’Ufficio che potrà:
- accoglierla e quindi annullare la cartella esattoriale contestata, oppure
- rigettarla e quindi confermare la cartella esattoriale contestata.
A seconda delle contestazioni che si intende muovere, l’istanza di annullamento in autotutela della cartella esattoriale dovrà essere inviata a mezzo Pec o con raccomandata con ricevuta di ritorno all’ ente creditore ( es. Amministrazione finanziaria, Comune, I.N.P.S., ecc.) oppure all’Agente della Riscossione (ad es. Agenzia delle Entrate – Riscossione).
Facciamo un esempio.
Il Comune (ente creditore) chiede all’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ente della riscossione) di riscuotere la tassa sui rifiuti al contribuente Tizio, il quale quindi riceverà una cartella di pagamento con il tributo in discorso. Tizio è però esentato dal pagamento della tassa sopra indicata. Pertanto, per non pagare la cartella esattoriale ricevuta potrà inviare al Comune un’ istanza di annullamento in autotutela per il motivo di cui sopra, ed eventualmente trasmettere la suddetta istanza, solo per conoscenza, all’Ente della Riscossione. Quindi se l’ente creditore annullerà in tutto o in parte il debito, invierà all’Agenzia delle Entrate – Riscossione lo “sgravio della cartella esattoriale”, e cioè l’ordine di annullare il debito. L’ente della riscossione quindi, cancellerà quel tributo dalla cartella e non potrà piu agire nei conforti di Tizio. Se invece l’ ente della riscossione non riceve dal Comune lo “sgravio della cartella di pagamento” è obbligato per legge a procedere con la riscossione nei confronti del contribuente.
Cosa fare quindi in caso di rigetto dell’istanza di annullamento in autotutela?
In caso di rigetto dell’istanza in autotutela il contribuente, se ancora in tempo, potrà presentare il ricorso avanti al Giudice competente.
Consigliamo quindi di presentare l’istanza di annullamento in autotutela tempestivamente, poiché non sospende i termini per presentare il ricorso.
Quanto sopra esposto, implica quindi la necessità di proporre il ricorso entro i termini stabiliti dalla legge, nonostante la domanda sia sotto esame da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Cartella esattoriale: ricorso giudiziario.
In questo caso il contribuente, con l’assistenza di un avvocato, potrà impugnare giudizialmente la cartella di pagamento ritenuta illegittima o infondata, presentando il ricorso avanti al Giudice competente.
I tempi di impugnazione giudiziale di una cartella variano a seconda del tributo contestato:
- Se viene chiesto il pagamento di tasse e tributi (ad esempio imposta sui redditi, imposta di registro, ipotecaria e catastatale, canone rai, tasse automobilistiche, tributi locali) l’impugnazione deve essere presentata entro 60 giorni dalla notifica della cartella mediante ricorso da proporre avanti alla Commissione Tributaria.
- Se viene chiesto il pagamento di una sanzione amministrativa (ad esempio le multe previste dal Codice della Strada), ci sono 30 giorni di tempo per l’impugnazione con ricorso avanti al Giudice di Pace.
- Se viene chiesto il pagamento di contributi previdenziali, allora il termine è di 40 giorni con ricorso da presentare al Tribunale Sezione Lavoro.
- In caso di pignoramento, per sollevare vizi di procedura o di forma il contribuente ha 20 giorni di tempo per l’impugnazione del provvedimento.
Una volta presentato il ricorso, inizierà una vera e propria causa davanti al Giudice competente che, se accoglierà il ricorso, annullerà la cartella di pagamento emessa e pertanto il contribuente non sarà tenuto a versare alcuna somma di denaro all’ente creditore.
Ricorso o istanza in autotutela: il consiglio degli avvocati di miOPPONGO.it.
Una domanda che ci viene spesso formulata è questa “Avvocato, presentiamo il ricorso o l’istanza di annullamento in autotutela?“
Come sopra detto, nel momento in cui si decide di presentare il ricorso avanti all’Autorità Giudiziaria il contribuente avvia una vera e propria causa, che comporta delle spese (ad esempio contributo unificato e marca da bollo, necessarie per avviare il giudizio), oltre a quelle per l’assistenza legale. L’istanza di annullamento in autotutela invece, se fatta in autonomia, non ha costi, se non quelli per l’invio della raccomandata a/r all’Ufficio competente.
Tuttavia l’autotutela, seppure più veloce ed economica, presenta degli svantaggi.
Innazitutto occorre osservare che la suddetta istanza viene presentata direttamente all’ente creditore o della riscossione e non dunque ad un soggetto terzo ed imparziale, quale è il Giudice. Va da sè quindi, che l’ente tenderà a confermare la legittimità e fondatezza del proprio atto, a meno che non ci si trovi di fronte ad un errore o vizio palese.
Inoltre è bene ricordare che qualora si decidesse di presentare l’istanza in autotutela, non sarà più possibile presentare il ricorso giudiziario, una volta scaduti i termini perentori per la presentazione dello stesso (vedi sopra). L’istanza in autotutela infatti, non sospende né interrompe i termini di presentazione del ricorso giudiziario.
Da ultimo ricordiamo che l’autotutela non sospende l’eventuale esecuzione da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, istanza questa che invece può essere formulata all’interno del ricorso al Giudice competente.
Pertanto, suggeriamo di presentare l’istanza in autotutela laddove sussistono vizi palesi della cartella di pagamento ricevuta. Altrimenti, il nostro consiglio è quello di depositare parallelamente alla richiesta in autotutela, il ricorso vero e proprio per non rischiare che diventi inammissibile.
Conclusioni.
Se si riceve una cartella di pagamento, o comunque in generale un atto impositivo, prima di effettuare il versamento, consigliamo di rivolgersi ad un professionista per verificare se effettivamente le somme chieste in pagamento sono dovute. Gli avvocati di miOPPONGO.it, con la loro esperienza pluriennale in materia, potranno verificare se sussistono effettivamente gli estremi per un’eventuale impugnazione e accompagnare il contribuente al raggiungimento del suo scopo, e dunque all’annullamento dell’atto impositivo ricevuto.