
Il dovere di mantenere i figli maggiorenni, il cui fondamento giuridico va rinvenuto negli artt. 30 Cost. e 147 e seguenti c.c., rappresenta una questione da sempre molto dibattuta e ciò a prescindere dal ricorrere o meno di un contesto di crisi coniugale.
Da una parte, appare corretto sostenere e supportare i giovani che si affacciano al mondo del lavoro anche se già “adulti”, vuoi per aver liberamente scelto un lungo percorso scolastico e/o universitario che li ha portati dapprima ad investire sulla loro formazione, vuoi a causa dell’attuale crisi del mercato del lavoro, che negli ultimi anni risulta sempre più incerto e precario.
Dall’altra è chiaro che le scelte personali del singolo e le tempistiche oggi necessarie per inserirsi in società, non possono e non debbono tradursi in un obbligo per i genitori di mantenimento ad oltranza, protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e misura.
Da qui, la necessità di contemperare ambedue le posizioni (quella dei figli e quella dei genitori), entrambe legittime e meritevoli di tutela.
Sul piano normativo, vengono in rilievo le seguenti disposizioni.
A norma dell’art. 316 bis c.c., l’obbligazione di mantenimento deve essere assolta dai genitori in proporzione alle rispettive possibilità economiche e secondo la loro capacità di lavoro professionale e casalingo.
Per i figli maggiorenni tale obbligazione permane ex art. 337 septies c.c., sino a quando costoro non abbiano raggiunto l’indipendenza economica.
A norma dell’art. 337 septies c.c infatti “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.
Ne deriva che il diritto al mantenimento sussiste sino a quando il figlio non sia in grado di potersi garantire in proprio, il sostentamento e la soddisfazione dei principali bisogni di vita.
La giurisprudenza però, onde impedire che l’obbligo in parola possa estendersi all’infinito, ha elaborato negli anni anche un secondo presupposto: è necessario accertare che il figlio non si trovi in colpa per non aver raggiunto l’indipendenza economica.
In altri termini, viene incriminata la condotta colposa del figlio che preferisce fare il “fannullone” anziché attivarsi nella ricerca di un lavoro, per assicurarsi il sostentamento economico.
La legge non prevede invero un momento specifico in cui cessa per il genitore il dovere di mantenere il figlio maggiorenne.
Tuttavia, la Corte di Cassazione è intervenuta a più riprese sul tema, con importanti sentenze che, nell’affrontare le varie situazioni ricorrenti nella realtà di tutti i giorni, forniscono quanto meno dei precedenti e delle linee guida per orientarsi nella materia in esame.
In via generale, il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi circa l’attuale sussistenza del diritto, non potrà contare su parametri specifici ma, di volta in volta, dovrà soffermarsi sul singolo caso concreto, avendo riguardo all’età del beneficiario, alle occupazioni e al percorso scolastico, universitario e post-universitario scelto dal singolo soggetto, alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il figlio abbia indirizzato la propria formazione e la specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari (tra le altre, Cass. Civile Sentenza N.1830/2011).
La Corte di Cassazione ha puntualizzato che, tale valutazione deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari (quindi, tanto maggiore sarà l’età del figlio e tanto meno questi avrà diritto al mantenimento), così da escludere che tale obbligo assistenziale possa protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo (Cass. Civile Sentenza N. 12952/2016).
Diversamente opinando infatti, il diritto al mantenimento si tradurrebbe in forme di vero e proprio “parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori, sempre più anziani” (Cass. Civile Sentenza N. 4108/1993).
A mero titolo esemplificativo, con la Sentenza N. 1858/2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di due figli entrambi maggiorenni e iscritti all’università, fuori corso e con scarsi risultati, ritenendo che nel caso di specie, fosse ormai venuto meno il diritto al mantenimento poiché i ragazzi, posti nella condizione di addivenire a un’autonomia economica, non ne avevano tratto profitto, “sottraendosi volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata, corrispondente alla professionalità acquisita” (Cassazione Civile Sentenza N. 1858/2016).
In ordine invece al mantenimento da riconoscere ai figli maggiorenni che lavorano, la Corte di Cassazione con la Sentenza N. 24515/2021, ha negato il diritto in esame ai due figli maggiorenni di un padre divorziato, avendo costoro svolto un’attività lavorativa, seppur discontinua, ma comunque attestante il possesso di capacità idonee per immettersi nel mondo del lavoro.
Ciò è stato sufficiente a far ritenere il venir meno dell’obbligo del padre, non avendo importanza il sopravvenire di circostanze ulteriori che, pur determinando l’effetto di rendere i figli privi di sostentamento economico, non possono far risorgere in capo al genitore l’obbligo di mantenimento i cui presupposti siano ormai venuti meno (“L’assegno di mantenimento per i figli” di Manuela Rinaldi).
Ciò che sicuramente emerge negli ultimi anni è pertanto il sempre più frequente richiamo al c.d. principio di autoresponsabilità, che permea l’intero ordinamento e in forza del quale, per quel che qui interessa, si chiede al figlio maggiorenne di attivarsi con tutte le sue forze e possibilità per trovare un’occupazione lavorativa, al fine ultimo di raggiungere l’indipendenza economica, smettendo di gravare sui genitori.
Tra le tante pronunce, merita di essere segnalata l’Ordinanza N. 17183 del 14 agosto 2020, con la quale la Corte di Cassazione ha statuito che “una volta terminato il proprio percorso di studi, non potrà più affermarsi il diritto del figlio ad essere mantenuto: il diritto non sussiste certamente dopo che, raggiunta la maggiore età, sia altresì trascorso un lasso di tempo, dopo il conseguimento dello specifico titolo di studio (diploma superiore, laurea triennale, laurea quinquennale, ecc..), che possa ritenersi idoneo a procurare un qualche lavoro, dovendo essere riconosciuto al figlio il diritto di godere di un lasso di tempo per inserirsi nel mondo del lavoro”.
Sulla base di tale Ordinanza pertanto, i figli maggiorenni, concluso il ciclo di studi prescelto, dovranno cercare un lavoro, compiendo tutti gli sforzi a tal fine necessari, se del caso anche scendendo a compromessi laddove l’impiego offerto non dovesse essere rispondente alle proprie inclinazioni (Corte di Cassazione Ordinanza N. 17183 del 14 agosto 2020).
Nella materia in esame non è quindi possibile indicare parametri specifici per decretare il venir meno del diritto al mantenimento, poiché, caso per caso, il giudice di merito dovrà valutare tutte le circostanze della singola fattispecie.
Seppur in estrema sintesi tuttavia, si può ritenere che, laddove emerga che il figlio maggiorenne, posto nella condizione di farlo, non ha saputo o non ha voluto, per sua scelta o colpa (dovuta a pigrizia, scarsa volontà di applicarsi o a causa di proprie condotte irresponsabili sul piano professionale o personale), raggiungere l’autonomia economica dai genitori, questi ultimi saranno esonerati dall’obbligo in esame (“L’assegno di mantenimento per i figli” di Manuela Rinaldi).
Resterà invece fermo il contributo genitoriale per i soli alimenti, commisurato ai bisogni primari ed essenziali del figlio e che dovrà essere corrisposto sino a quando ciò si renderà necessario.
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