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Il problema
Il contratto di locazione immobiliare viene stipulato tra due parti che assumono obblighi reciproci: il proprietario dell’edificio (locatore) ne concede il godimento all’inquilino (conduttore) che, a sua volta, si impegna a corrispondere un corrispettivo, solitamente con cadenza mensile.
Dal punto di vista giuridico, la locazione è un contratto consensuale, perché si perfeziona con l’accordo espresso dalle parti.
In origine, nessuno dei due contraenti può sapere se l’altro manterrà fede agli impegni presi ma,
qualora si verifichi un inadempimento, la parte danneggiata può avvalersi dei rimedi che la Legge mette a sua disposizione per salvaguardare i propri interessi.
Nella fattispecie, se il conduttore è “moroso”, ovvero non paga il canone di locazione periodico così come stabilito in origine nel contratto, il locatore può iniziare una procedura che conduca allo sfratto per morosità dell’inquilino, in seguito alla quale quest’ultimo dovrà rilasciare l’immobile ed effettuare il versamento delle somme dovute a titolo di mensilità non pagate.
Il recupero dei canoni non pagati: quando agire
In prima battuta bisogna precisare che la legge 392/1978 tollera il ritardo del conduttore fino a un massimo di 20 giorni dalla scadenza prefissata: a partire dal 21° giorno, dunque, il proprietario che non abbia ricevuto la somma dovuta può attivarsi per recuperarla.
Prima di applicare i rimedi di legge, comunque, il locatore può rivolgersi all’inquilino in via stragiudiziale, chiedendogli in modo informale di versare i canoni dovuti e, magari, concedendogli una dilazione del pagamento.
Se, però, questo atteggiamento disponibile non trova riscontro e il conduttore nell’inadempimento, al locatore non rimane che adire le vie legali: per far valere le sue pretese, quindi, inizierà inviando al conduttore una diffida ad adempiere che contenga un termine perentorio entro il quale l’importo dovuto dovrà obbligatoriamente essere versato.
La lettera di messa in mora per l'affitto non pagato
La diffida di pagamento inviata dal proprietario dell’immobile consiste in una comunicazione scritta che, per questo motivo, è anche denominata “lettera di messa in mora”: va spedita all’inquilino tramite raccomandata con avviso di ritorno (o a mezzo PEC), proprio perché ne sia certa – e documentabile – la ricezione da parte del destinatario.
Oltre a intimare il pagamento, tale comunicazione fissa un termine che, per legge, non può essere inferiore a 15 giorni e ha una doppia valenza: indica la data entro la quale l’inquilino può ancora sanare la sua morosità e definisce il momento in cui, in mancanza di tale adempimento, il contratto di locazione si intenderà come risolto.
Se il conduttore che riceve la diffida non paga le somme dovute entro la scadenza assegnata nella intimazione di messa in mora, trascorso tale termine il locatore è autorizzato a iniziare la procedura di sfratto per morosità, attraverso la quale potrà ottenere le restituzione dell’immobile locato e la condanna dell’inquilino inadempiente al pagamento dei canoni arretrati non versati.
Intimazione di sfratto per morosità e citazione per la convalida
Quando, nonostante i solleciti – verbali e scritti – l’inquilino rimane insolvente, il locatore può coinvolgerlo in un vero e proprio procedimento giudiziale.
Se, nell’invio della diffida, l’assistenza di un legale è consigliabile (data la competenza in materia del professionista e la sua padronanza della terminologia giuridica), nella fase processuale la presenza di un avvocato che rappresenti il locatore è indispensabile, trattandosi di una procedura che si svolge davanti a un Giudice.
Perché si possa intimare lo sfratto per morosità, l’art. 658 del nostro Codice di procedura civile richiede l’esistenza di due presupposti:
- un contratto di locazione redatto in forma scritta e regolarmente registrato;
- la morosità del conduttore, ovvero il mancato pagamento anche di una sola mensilità del canone prefissato (o due, nel caso di oneri accessori).
Con riguardo al secondo presupposto bisogna distinguere tra locazioni di immobili destinati all’uso abitativo o a un uso diverso: il mancato pagamento di una sola mensilità del canone rileva solo nel primo caso, mentre nell’ipotesi di locazioni di immobili adibiti a uso non abitativo (per esempio, dedicati ad attività commerciali, artigianali o sportive), sarà il Giudice a valutare discrezionalmente l’entità dell’inadempimento.
In questa fase, il primo atto di natura processuale consiste nella notifica al conduttore dell’atto di citazione in giudizio, denominato “convalida di sfratto per morosità”, in cui viene indicata la data di comparizione davanti al Giudice competente per territorio, ossia il Tribunale del luogo in cui si trova l’immobile oggetto del contratto di locazione.
Prima udienza e termine di grazia
Il procedimento giudiziale avviato con la notifica della citazione per convalida di sfratto ha carattere sommario, perché mira unicamente a verificare la non contestazione del convenuto.
Diversamente, se l’inquilino si presenta alla prima udienza e solleva opposizione alle pretese del locatore (per esempio, sostenendo di aver pagato i canoni mensili, oppure denunciando un vizio dell’immobile locato), il Giudice dovrà emettere un’ordinanza con cui dispone il cambiamento di rito.
La causa, in pratica, non avrà più natura di procedimento sommario, ma si trasformerà in un giudizio di cognizione, in cui si analizza il merito della questione.
Nelle vertenze che riguardano locazioni di immobili destinati all’uso abitativo, il conduttore convenuto che non neghi la sua inadempienza, ma dia prova di trovarsi in condizioni di difficoltà economiche, può chiedere al Giudice la concessione di un termine di grazia, entro il quale pagare le somme oggetto della pretesa del locatore.
Tale termine (90 giorni), è improrogabile e non può essere chiesto nelle cause basate su contratti di locazione di carattere commerciale.
Anche qualora gli venga concesso il termine di grazia, il conduttore dovrà attivarsi per adempiere al suo obbligo di pagamento nel minor tempo possibile e, comunque, non oltre la scadenza prefissata.
Gli scenari che si aprono in questa fase del procedimento sono, quindi, due: l’estinzione totale del debito da parte del conduttore o, viceversa, il mancato pagamento.
Le conseguenze dell’uno o dell’altro comportamento sono, com’è ovvio, completamente diverse.
Cosa succede se la morosità viene sanata
Se, alla prima udienza, l’inquilino adempie al suo obbligo di pagamento e versa tutto il dovuto banco iudicis (davanti al Giudice), assieme al pagamento delle spese legali a cui è tenuto, il procedimento per la convalida di sfratto si chiude.
Da parte sua, il locatore non può più chiedere la risoluzione del contratto di locazione dell’immobile, che proseguirà fino alla scadenza fissata in origine.
Lo stesso succede se il convenuto ha richiesto e ottenuto il termine di grazia che, se ricorrono gravi motivi basati sulle sue precarie condizioni economiche, può essere aumentato fino a 120 giorni.
Per evitare di essere sfrattato, l’inquilino dovrà pagare tutte le mensilità scadute e gli oneri accessori (come, per esempio, le spese condominiali a lui spettanti).
Tali somme verranno maggiorate degli interessi maturati alla data dell’adempimento e delle spese legali, così come liquidate dal Giudice.
Cosa succede se il debito non viene estinto
Diversamente, in costanza di morosità, il Giudice emetterà ordinanza di convalida dello sfratto, imponendo all’inquilino insolvente di rilasciare l’immobile entro un termine determinato e, su richiesta del proprietario, di pagare i canoni scaduti.
Se, nonostante l’intimazione del Giudice, l’immobile non viene rilasciato, si procederà all’esecuzione forzata, ovvero allo sgombero – in tempi rapidi – dell’edificio oggetto di locazione.
Nella prassi, i tempi di rilascio non sono così limitati come la Legge stabilisce e, di fatto, succede spesso che l’inquilino non solo non versi le somme dovute, ma continui ad abitare nell’immobile, accampando motivi di necessità e chiedendo dilazioni, oppure semplicemente perseverando nell’occupare l’abitazione.
Qualora si verifichi questa ipotesi, è fatto assoluto divieto al locatore di attivarsi con comportamenti autoritari, come cambiare la serratura d’ingresso dell’appartamento o procedere al distacco delle utenze.
In questo senso anche la Giurisprudenza più recente, compresa quella della Corte di Cassazione (sentenza n. 50696 / 2019), stigmatizza il comportamento del proprietario e lo qualifica come “reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni”.
Ciò non significa che i diritti del locatore, riconosciuti come legittimi dal Giudice, debbano rimanere insoddisfatti: al contrario, la Legge offre al proprietario i mezzi per ottenere il rilascio dell’immobile (esecuzione forzata tramite Ufficiale Giudiziario), oltre al versamento delle somme dovute e non pagate.
La richiesta di decreto ingiuntivo per recuperare il credito
Anche se il proprietario ottiene il rilascio dell’immobile attraverso la procedura di esecuzione forzata, può succedere che l’inquilino non ottemperi all’obbligo di pagare i canoni scaduti.
Nel tempo che intercorre tra l’inizio della vertenza e la sua conclusione, infatti, le somme non corrisposte aumenteranno, accentuando l’entità del danno economico sopportato dal proprietario.
Per consentire al locatore di recuperare i canoni non corrisposti dal locatario durante questi mesi, il Giudice che ha emanato l’ordinanza di sfratto, su ricorso della parte interessata, può emettere un decreto ingiuntivo, ossia un provvedimento che consiste nell’ingiunzione di pagamento rivolta al soggetto inadempiente.
Se l’inquilino, pur avendo ricevuto l’intimazione contenuta nel decreto ingiuntivo, continua a non versare le somme dovute, il proprietario potrà agire contro di lui attivando una procedura esecutiva di recupero che si concreta nel pignoramento dei beni presenti nel patrimonio del soggetto inadempiente.
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